mercoledì 19 marzo 2008

U.R.S.S.


immagine tratta da questo link

Da un po’ di tempo ho notato nella società spregiudicatamente capitalistica del mondo “occidentale” un retrogusto di comunismo rifritto.

Le maggiori aziende italiane sono sostenute dallo stato con i soldi dei cittadini, i maggiori imprenditori non sono altro che comunisti travestiti da capitalisti, primi tra tutti Berlusconi e gli Agnelli.

Vedo molte città, quartieri e soprattutto periferie formate da schiere di case che sembrano uscite tutte dallo stesso stampino, come centinaia di giganteschi budini tolti dal loro vasetto e messi per bene in fila su un enorme vassoio.

Nemmeno il colore hanno la decenza di cambiare.

E’ la pacchia dei costruttori edili, che comperano un progetto per una casa e fanno poi fotocopie e fotocopie dello stesso, finché non riempiono il terreno a disposizione.

Come può un sindaco accettare che si costruiscano centinaia di case identiche l’una all’altra? Dove sono le “belle arti” quando si compie lo scempio di costruire un abitato che più che un quartiere assomiglia ad una base militare o ad un campo di concentramento?

Campi di concentramento per le vittime del capital-consumismo che si vestono sempre più tutti alla stessa maniera, hanno sempre più lo stesso cellulare, lo stesso tipo di auto, lo stesso taglio di capelli, gli occhiali, le scarpe sempre più uguali, vittime della stessa fotocopiatrice di progetti abitativi.

Occupati, accecati ed uniformati anche nel pensiero dalla pubblicità e dalla televisione, vengono spinti a rincorrere l’ultimo modello di questo o di quello; non si rendono conto che sudano sangue, sopportano stress ed umiliazioni per ottenere quello che ottenevano (gratis e di diritto) i popoli comunisti decenni orsono: una omologazione.

Molte volte la società “occidentale” porta le sue vittime, pochi giorni prima delle ferie, a dire frasi del tipo: “non ho la più pallida idea di dove andare in vacanza, andrò in agenzia è sceglierò il primo ‘pacchetto’ che capita, l’importante è andar via di qua”.

Però quando va “via di qua”, questa gente vuole mangiare la pasta o la pizza e mantenere tutti i vizi e le comodità di casa, anche se si trovano in India, senza la minima curiosità di voler provare qualche piatto locale.

Vanno tutti in vacanza a Sharm El Sheikh, a Playa del Carmen o alle Maldive. Con il loro bravo braccialetto di plastica, si abbronzano sulla spiaggia, dove trovano il vicino di ombrellone che è della loro stessa città, si innamorano e si accoppiano e magari quando fanno ritorno, con la loro bella abbronzatura, di fronte ad un mappamondo non ti sanno nemmeno indicare dove sono andati o come si dice “ciao” nella lingua locale.

Dov’è la differenza tra i pecoroni tutti uguali che vanno al villaggio vacanze e le gite-vacanze organizzate dal regime comunista per distrarre il loro popolo dalla quotidianità? Non sono già stati scelti in entrambi i casi i luoghi da “invadere”? Non è tutto preparato artificialmente affinché il turista-comunista si senta “a casa sua”? E perché tutto quello sbattito del viaggio per sentirsi come a casa propria? Non si farebbe prima a rimanerci a casa propria?

Sono convinto che il benessere non arrivi dalla pubblicità, dalla moda o dall’avere la casa uguale agli altri centinaia di tuoi vicini.

La cosiddetta globalizzazione sta omologando tutto il mondo al livello più basso possibile.

Le differenze tra una città ed un’altra ormai sono minime, e questa è una enorme perdita.

Perdere la diversità è sempre un male, la diversità è la ricchezza di una nazione e del mondo intero.

La storia ci ha insegnato che il comunismo non funziona; non è altro che un’utopia, un sogno irrealizzabile, non vedo perché riproporlo sotto un’altra salsa dovrebbe invece funzionare.

Siamo sicuri?



Negli ultimi anni, soprattutto dopo l’11 settembre 2001, la libertà delle persone è stata messa sempre più in discussione a favore del mito della sicurezza.

Il cittadino si è visto spiato, filmato di nascosto e sottoposto a sempre più perquisizioni, restrizioni e controlli, in maniera crescente e per ora senza limite.

Ormai sono pochi i mezzi di trasporto a lunga percorrenza che si possono usare senza dover mostrare a un qualche addetto al controllo ciò che si porta con sé.

Non si può prendere un aereo senza che il passeggero ed il suo bagaglio siano accuratamente spiati, rovistati ed esaminati. Ormai non ci si può neppure portare una bottiglietta d’acqua in aereo, si deve patire la sete oppure ingrassare la compagnia comperando qualche bibita a bordo; neppure in molti uffici pubblici si può più entrare liberamente senza essere perquisiti assieme al proprio bagaglio.

Ormai ci si sente sempre più in uno stato di polizia, spiati da telecamere più o meno nascoste, costretti ad eterni controlli e a continui microinterrogatori, nel nome di una libertà ormai lontana, schiacciata tra il martello del terrorismo e l’incudine della sicurezza.

Quanti di noi si sentono sicuri al giorno d’oggi? Più sicuri di dieci anni fa? La sensazione di sicurezza è inversamente proporzionale all’aumentare dei controlli.

Quindi più aumentano i punti in qui si viene sottoposti a scansioni e perquisizioni più si ha paura ed insicurezza: non è forse questo terrorismo?

Quanti aspiranti terroristi sono stati rintracciati e bloccati grazie a questa immensa rete di controlli? Che sappia io nessuno. Sono stati messi a segno invece nuovi attentati in barba ai rigidi controlli.

A cosa serve quindi tutto questo controllo se non ad alimentare il terrorismo? Oppure l’italietta in questo caso ha fatto scuola? Cioè il controllore e il controllato sono la stessa persona?

A chi giova? Chi lo vuole? Forse le assicurazioni e quindi le banche, forse le ditte che producono gli apparecchi per controllare le persone? Potrebbe essere come quando l’installatore di allarmi va a rubare nelle case sprovviste di allarme, ripassando il giorno seguente con il suo biglietto da visita per proporre un impianto?

O forse è una maniera per controllare i movimenti di ogni singolo cittadino e di conseguenza di influenzare le masse?

I nostri leader hanno la bocca piena della parola libertà, ma a mie spese ho imparato che se un capo politico dice spesso una cosa, è molto probabile che sia vero il contrario.

Combattiamo il terrorismo per la libertà! Ma quale libertà se siamo sotto stretto controllo? Che prezzo ha la libertà? La libertà stessa?

Per non parlare poi delle innumerevoli strane coincidenze del mitico attentato alle twin towers che rendono sospetti i servizi segreti statunitensi molto più che Bin Laden o Al Qaida.

Il nemico perfetto è quello che non si vede o meglio ancora che non c’è, perché è quello che fa più paura ed è quello che non sarà mai sconfitto, permettendo quindi di rendere la norma il fatto di vivere sotto stretta sorveglianza.

domenica 2 marzo 2008

Chi è libero?




Alzi la mano chi di noi è veramente libero. Chi è completamente libero nel momento di prendere le proprie scelte? In cambio della nostra “sicurezza” viviamo in un mondo a libertà vigilata. Oggi più che mai. Siamo privati della nostra libertà quando andiamo al lavoro dovendo seguire orari e metodi prestabiliti. Non siamo liberi quando siamo costretti a vivere in un miniappartamento di 30 metri quadrati perché il nostro reddito non ce ne permette uno migliore. Non siamo liberi ogni volta che compriamo qualcosa a debito, per non parlare di quando abbiamo il mutuo da pagare.

Siamo tenuti in vita un po’ come i corpi che alimentavano il cervellone nel film matrix, ma al posto di matrix ci sono le multinazionali, le banche, le corporazioni.

Non siamo liberi nemmeno quando viaggiamo, per prendere un aereo dobbiamo subire vari tipi di scansioni, perquisizioni e restrizioni. E perché poi? E’ forse mai stato trovato qualche terrorista con questo metodo? E a che prezzo?

Sarà pure vero che la libertà di ogni individuo finisce quando va ad intaccare quella altrui o della comunità, ma credo che ora si stia tutelando più l’interesse di pochi che quello generale.

Credo che oggi gli unici pochi uomini liberi rimasti siano alcuni aborigeni ed altri piccoli gruppi di popolazioni rimaste felicemente isolate dal capitalismo colonialista.

Sicuramente non vivranno fino a cento e più anni, ma gli anni vissuti li avranno vissuti da uomini liberi dalla pubblicità, dal consumismo, dalle tasse, dai mutui e dal morbo diffuso del voler possedere. Avranno trascorso una vita a contatto con la natura, imparando ad amarla e a rispettarla, cosa che al giorno d’oggi noi uomini liberi non possiamo permetterci.